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Atmosfera second-hand

Lunedì 06 Aprile 2015
Alessandro Giuliani

Una delle motivazioni principali che hanno permesso lo sviluppo del mercato dell'usato, in questi ultimi anni, è dettata dalla soddisfazione della scoperta, ovvero dal piacere insito in ogni acquisto, inteso come un affare.

Sono proprio gli utenti dei negozi dell'usato che dichiarano di fare acquisti di oggetti usati per provare il piacere dell’acquisto, collegato a quello della scoperta.

La questione della scoperta è quindi fondamentale e l’esperienza positiva di avere acquistato un oggetto che si considera di valore e inaspettato provoca una remunerazione simbolica molto elevata. L'utente che si interfaccia con il negozio dell'usato è normalmente "al pascolo" ossia quel girovagare che facilità la costruzione di un ampio patrimonio informativo, in luoghi in cui non è facilmente prevedibile l’oggetto che si andrà a trovare, scoprire o comprare.



La visita ad un negozio dell'usato non è necessariamente legata all’acquisto di un bene, ma piuttosto alla ricerca di un punto vendita originale, con un’atmosfera piacevole e una grande varietà di articoli. Il negozio deve essere divertente, deve sorprendere e dare eccitazione, ma allo stesso tempo anche una sensazione di sicurezza.

Ecco il motivo per cui un gestore di un negozio dell'usato, in particolar modo generalista, dovrebbe preoccuparsi di investire sull'atmosfera del suo negozio, cercando di soddisfare tutti i sensi di un frequentatore di negozi dell'usato.

La disposizione dovrebbe valorizzare gli oggetti puntando sull'unicità, sull’autenticità e sulla singolarità, collegata all’estetica e al forte valore simbolico degli oggetti usati, in contrasto con gli oggetti di largo consumo.

E' necessario quindi studiare un layout che induca al senso della scoperta, puntando all’acquisto come atto creativo e divertente e puntando anche all'olfatto, all'udito e dando ai clienti la possibilità di toccare gli oggetti, il tatto è fondamentale.

In questo modo il consumo dell’usato diviene quindi uno spazio creativo e di scoperta più affine alle classi abbienti che, di conseguenza, scelgono l’usato non per necessità ma per svago.

Interessante, no?

In pratica questo porterebbe a definire l'acquisto in un negozio dell'usato come una dimostrazione di conoscenza e di appartenenza ad un gruppo di consumatori che conosce la storia degli oggetti, che si riconosce in uno stile o che dà il “giusto valore” a prodotti unici che, una volta acquistati, riflettono tale expertise, attivando quindi quelle pratiche sociali di differenziazione e di distinzione sociale.

Inserire in negozio degli elementi culturali, permetterebbe all'usato di assumere un significato più profondo: se il mercato del nuovo punta sulla standardizzazione dei beni, l'usato rappresenta l’esatto opposto. E, visto che un oggetto è stato usato da un altro possessore prima di essere reimmesso sul mercato, il suo utilizzo comporta un confrontarsi con la storia dell’oggetto che va al di là della sua mera progettazione e produzione. In questo senso l’oggetto usato diventa portatore di una storia, un racconto che si aggancia alla vita del precedente possessore.

Una relazione quindi che non si ferma al mero rapporto tra acquirente ed oggetto, impersonale e asettica e che rimette al centro il rapporto tra venditore e acquirente: vengono meno le garanzie di purezza e funzionalità dell’oggetto e si rende necessaria una ricerca di informazioni e una acquisizione di fiducia.

Non avete notato che un acquirente presta un'attenzione maggiore alla scelta di un oggetto usato rispetto allo stesso nuovo?

Proprio la minore “freddezza” nei rapporti di scambio e la propensione a instaurare rapporti di reciprocità, rendono il negozio dell’usato un luogo ideale dove coltivare relazioni di scambio durature, legate a fattori sociali più ampi rispetto a quelli relativi alla compravendita di merce. L’usato interviene nel consumo come fattore di recupero di una socialità più personale e relazionale.

Forse questo è un punto di vista diverso dal solito e vale la pena considerarlo attentamente.

Ringrazio Fabio Marzella, una (ri)lettura illuminante.




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