Ho avuto il piacere di intervistare Gianni Perbellini, uno degli uomini che hanno contribuito a far evolvere il mercato dell'usato nazionale verso una formula imprenditoriale professionale.
Un intervista intrigrante, sincera e appassionata su quello che è oggi il mercato dell'usato e su quali opportunità potrebbero cogliere gli operatori in un prossimo futuro. Buona lettura! Vi auguro di cogliere gli illuminanti spunti che ho colto anch'io!
Gianni Perbellini, presidente di Mercatino srl dal 1996 al 2012. Cosa ti è rimasto di questa importante esperienza?
Beh, è stata, e resta, un’esperienza straordinaria e non potrebbe essere diversamente! Quasi quattrocento nuove imprese affiliate, migliaia di posti di lavoro creati, la trasformazione di appassionati operatori in attenti e preparati imprenditori, la presa di coscienza, la consapevolezza e la nuova dimensione della reputazione sociale degli affiliati, ma anche, per induzione, di tutti gli operatori dei mercatini, la “vestizione” del nostro mestiere dei valori etici del “non spreco”, della preservazione delle risorse, dell’ecologia e dell’economia, sono stati gli step che hanno riempito un quarto della mia vita e che ancor oggi mi emozionano. …
E poi, e soprattutto, le persone con cui ho condiviso questa esperienza, le donne e gli uomini con i quali ho impastato questi anni trascorsi insieme. Le gioie e le preoccupazioni, anche personali, l’affetto, le emozioni forti, e, qualche volta, lo scontro che mi ha legato a questa meravigliosa umanità in modo indimenticabile… e poi… un’altra storia, che si sta scrivendo altrove...
Il mercato dell’usato in Italia è in crescita, nonostante la crisi. Pensi che ci sia ancora spazio per nuovi player nazionali o siamo prossimi alla saturazione del mercato? Ritieni più probabile che un player italiano si sviluppi in Europa o che un player europeo sbarchi in Italia?
Se mi consenti, direi che il mercato dell’usato è in crescita proprio perché c’è la crisi, nel senso che è nelle strette congiunturali che emergono le dinamiche culturali e valoriali che, da sempre, contraddistinguono la cultura Europea: antiquariato, aste, vintage, etc. sono solo alcune delle declinazioni, magari le più nobili, della cultura dell’usato che appartiene alla nostra civiltà e che ci ha insegnato che gli oggetti hanno, non solo un valore fungibile, ma anche un valore emozionale e, anche per questo, suscitano interesse e muovono il mercato di chi vende e di chi compra. Detto ciò, per rispondere alla prima domanda, sono convinto che gli operatori dell’usato in Italia siano già molti e, quindi, credo che il fenomeno più probabile possa essere, come è successo nel mondo delle agenzie immobiliari, la stratificazione orizzontale rispetto alla verticalizzazione che, oggi, contraddistingue le organizzazioni dei maggiori player nazionali: Mercatino e Mercatopoli-Baby Bazar.
All’interno di queste realtà, sotto lo stesso marchio, convivono organizzazioni imprenditoriali assolutamente diverse tra loro, sia sotto il profilo organizzativo, sia sotto il profilo dimensionale, sia sotto il profilo strutturale che, ancora e non da ultimo, sotto il profilo della cultura d’impresa, con necessità e richieste totalmente diverse, tra le diverse classi di operatori. Ecco, io credo che vieppiù gli operatori di uno stesso brand percepiranno il disagio di una risposta ai propri bisogni disallineata rispetto alle proprie necessità e più ci sarà, gradualmente, la disaffezione al marchio e crescerà la ricerca, autonoma, verso contenitori o supporti che meglio e prima sappiano fornire risposte convincenti ai bisogni crescenti.
Per quanto riguarda le espansioni territoriali, in e out, il discorso è complesso e articolato ma, da una prima osservazione, si vede che i player stranieri che hanno cercato di entrare (gli australiani Cash Converter e Second Hand) non hanno sviluppato come credevano e neppure Jean Pierre Boudier, patron di Troc, peraltro presente in sette paesi Europei e quotato in borsa, ha mai tentato la calata in Italia (anche se qualche chiacchiera la fece con me qualche anno fa).
Personalmente credo che l’indole “libertaria e creativa” dell’operatore dell’usato nazionale, sia da paragonare, nella stragrande maggioranza dei casi, a quella dell’artigiano, figura irriproducibile in altri sistemi economici, straordinariamente flessibile e adattabile, ma difficilmente “formattabile” e poco o niente votata alle regole. Per questo risulta difficile agli operatori stranieri trovare imprenditori che si adattino a regole rigide, chiare, precise e inderogabili. Ma altrettanto duro e difficile è esportare una visione di business priva di tali regole, ferme e precise, peraltro, pre-adattate al territorio che si vuole contaminare. Qualcuno ci ha provato e ha preso legnate (come le ho prese anch’io) e lo stesso TROC ci ha messo oltre dieci anni per conquistare un po’ di notorietà in Spagna. Se dovessi fare una scommessa con chi ho in mente io, in ogni caso, direi che si sbarca prima noi all’estero…
In Italia, rispetto ad altri paesi, c’è una visione poco lobbistica del mercato dell’usato che limita la visibilità dell’insieme degli operatori. Quali pensi possano essere gli elementi necessari per superare questo limite?
Mah, qui cerchi di fare il Judoka (buon sangue non mente, eh?) e mi fai una domanda, legata a un mio post, per la quale ti eri proposto per un pranzo. E secondo te rinuncio al pranzo, così sic et simpliciter? Scherzi a parte il discorso è molto complesso, ma, se vogliamo bignamizzare, occorre dire che, seppur encomiabile, non è sufficiente cercare solo di far cultura, come talvolta alcune associazioni fanno, né fare soltanto accademia come alcuni studiosi fanno, occorre riscrivere la catena del valore del nostro mestiere e mettere insieme gli interessi di tutti gli stakeholder (portatori di interesse = clienti acquirenti e venditori, pubbliche amministrazioni, associazioni, etc.) per poterci contare e pesare e per poter dire la nostra. Oggi il driver politico, a cui qualcuno fa riferimento, è sterile e produttivo solo di autoreferenzialità per il politico stesso o per il suo partito, ma non certamente per il vasto mondo degli operatori, dei fruitori del mercato dell’usato e del suo indotto.
Occorre coinvolgere la gente che ci frequenta con logiche di reciproco interesse con stimoli che prendendo spunto da tutti quei valori che questo mercato porta con sè, di cui ho detto prima, e faccia comprendere in maniera chiara quali vantaggi in termini di economia, di risparmio energetico e di qualità di vita, derivino da comportamenti “sani”.
Occorre generare un approccio, non solo emozionale, ma utilitaristico e, passamelo, “tornacontistico” a questa best practice del riuso e del riutilizzo. Per questo bisogna lavorare a più livelli e in modo trasversale tra tutti gli operatori dell’usato. Io, in questo senso, sono pronto, ancor prima della fondazione di Rete ONU, struttura sindacale alla quale occorre, per essere efficaci, affiancare una struttura lobbistica.
La tua vita professionale è sempre stata poliedrica, dalla consulenza finanziaria agli spettacoli musicali, con importanti ruoli in Assofranchising e in Confindustria. Quale pensi sarà la tua passione per i prossimi 10 anni? Nel campo dell’usato?
Le esperienze passate e la vita associativa sono stati per me momenti arricchenti e di grande crescita personale e relazionale, che ancora coltivo e che mi sono stati utili per dare forza al brand che avevo mi ero addosso. Mai il contrario! Ora mi dedico a fare birra artigianale e ho, anche, ripreso la mia originaria professione di coltivatore di aziende, con alcune esperienze di risanamento aziendale piuttosto importanti sullo scenario nazionale... e poi … per rispondere alla seconda domanda, nel campo dell’usato, penso di poter mettere a diposizione di tutti coloro che operano in questo mondo e che sanno distinguere l’addestramento dalla formazione, un’esperienza quindicennale, nella costruzione, nell’organizzazione e nell’analisi andamentale del punto vendita.
Conosco in modo specifico le dinamiche fiscali, tributarie e amministrative del settore dell’usato. La proposta che mi sento di lanciare, e che è totalmente trasversale ai vari brand, si rivolge a chi desidera uscire dalla dimensione artigianale del proprio business e vuole strutturarsi in maniera più funzionale e organizzata, oppure a chi vuole investire in questo settore, ma non lavorarci direttamente e personalmente, senza tuttavia rinunciare alla propria identità e all’eventuale appartenenza a un marchio.
In campo fiscale l’operatore dell’usato, in Italia, oltre che penalizzato è addirittura sconosciuto non avendo nemmeno un’identità precisa. Quali sono i tuoi consigli per superare questa spinosa questione?
Occorre mandare, con la spinta di una lobby forte, qualcuno in Europa perché è li che serve presidiare e trasferire i progetti, che in parte ci sono, in un formato “eseguibile” che oggi manca, in particolare in Italia, ma non solo! L’Europa presidia i codici Ateco, che sarebbero già un identificativo del settore; l’Europa raccomanda la massima attenzione e chiede alle singole nazioni di attivare tutte le politiche per lo sviluppo della cultura e per la pratica del riuso, ma non muove le aliquote IVA del settore dell'usato, perché questo non è visibile, in quanto non codificato; e via di seguito... Ecco, qualcuno che in Europa si dedichi a raccordare tali sfasature, potrebbe essere la vera soluzione a questo problema che ha, appunto, dimensioni europee, e potrebbe essere anche una vetrina di lancio dei modelli ITALO/FRANCESI del conto vendita. Io ci credo!
Grazie dell’opportunità e un caloroso abbraccio anche a te!
Imprenditori dell'usato
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