Ho deciso di pubblicare lo studio sulla filiera dell'abbigliamento usato realizzato dal Centro di Ricerca di Occhio del Riciclone, in quanto lo ritengo particolarmente interessante, soprattutto per i mercatini dell'usato, e ricco di parecchi spunti per svariati punti di vista.
Ad esempio, leggendo il documento, si può trovare un'interessante ricerca dell'Osservatorio Cetelem, operata a livello europero sulla possibilità che l'acquisto di beni usati sia considerato degradante e che rappresenta, a mio parere, un punto che merita una riflessione.
Sono d'accordo con questa affermazione:
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il 10% dei francesi;
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il 12% dei britannici;
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il 13% degli ungheresi;
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il 45% degli italiani;
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il 51% dei portoghesi.
Lo studio prosegue affermando che il 50% degli europei pensa che comprare usato significhi rischiare di “farsi fregare” mentre un 57% crede che si rischi di acquisire beni con qualità o robustezza inadeguati. Ma il 57% pensa anche che nell’usato si possano trovare beni di qualità superiore. Il 47% dei consumatori di usato europei comprano la seconda mano per necessità, mentre un 40% lo fa come scelta militante (per evitare costi ambientali). Un 49% afferma però che l’usato è una buona opportunità per consumare di più.
In Italia - si sapeva - c'è ancora una mentalità iper consumistica che porta le persone ad approcciarsi con qualche difficoltà al mondo dell'usato; persone che non considerano l'usato "cosa di tutti i giorni", come una tazzina di caffè al bar oppure un asciugamano in hotel, trascurando le svariate opportunità di risparmio, di guadagno e quelle ambientali, per la riduzione degli sprechi.
Un altro punto importante del documento è rappresentato dallo studio della filiera dell'abbigliamento usato che ha origine, per i paesi a reddito pro capite elevato, dal ritiro o dalla raccolta delle donazioni di indumenti usati. I principali canali di raccolta sono quindi espressione del mondo della solidarietà. Quanto raccolto viene solitamente venduto ad aziende specializzate nel trattamento, nella classificazione e nella commercializzazione dei vestiti.
In proporzione minore gli indumenti raccolti vengono donati direttamente a soggetti disagiati locali (come la Caritas in Italia) o venduto in negozi e magazzini della solidarietà (“Goodwill Industries” statunitensi, “Charities Shop” e rivendite Oxfam in Gran Bretagna).
Quanto venduto a queste imprese specializzate è a sua volta rivenduto al mercato locale dell’usato (generalmente venditori ambulanti), avviato all’esportazione ai fini del riutilizzo, o a varie opzioni di riciclo o recupero. Una parte residuale che non è né riutilizzabile né recuperabile in altre forme, viene avviata a smaltimento.
E' interessante quindi notare come l'opera dei negozi dell'usato sullo stile di Mercatopoli e Baby Bazar, siano un ottimo sistema per "distrarre" da questa filiera i capi in perfetto stato - che vengono ritirati in conto vendita da privati e quindi rivenduti ad altri privati - per reinserire quindi l'invenduto nella medesima filiera, che viede appunto ceduto ad enti di solidarietà.
Indumenti usati: una panoramica globale per agire eticamente.
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